Ripensare l’autonomia differenziata per un servizio sanitario nazionale equo e orientato alla prevenzione


Pubblicato il 10 Gennaio 2022

ISDE Italia ritiene che non debbano essere messe in atto proposte che influiscano negativamente sull’organizzazione e l’efficienza del SSN e che  accrescano il divario tra le regioni italiane nell’erogazione delle prestazioni essenziali.

La Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NADEF) ripropone il tema dell’autonomia differenziata. In particolare l’art. 116, comma 3, prevede, tra le 23 materie sulle quali alle regioni ordinarie sono attribuite “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” anche la “tutela della salute”.
La riproposizione dell’argomento suscita grande preoccupazione laddove, per quanto riguarda il diritto alla salute, il regionalismo ha nei fatti azzerato il sistema sanitario nazionale.
Il raggiungimento di obiettivi di salute, l’universalità, l’equità e la solidarietà dell’assistenza devono restare le finalità prioritarie del servizio sanitario come recita l’art. 1 della Legge 833 del 1978 che ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), concepito come unitario, organico, flessibile.
A quarant’anni dalla sua istituzione il SSN rappresenta come non mai uno strumento necessario per garantire a tutti i cittadini elevati livelli di tutela della salute individuale e collettiva.
Ciò non toglie che, nonostante la buona performance del nostro SSN, vi siano ambiti di miglioramento evidenti, rispetto ai quali occorrono interventi efficaci, di natura economica e strutturale, per scongiurare la progressiva riduzione dei servizi e della qualità delle prestazioni nonché l’eccessiva frammentazione del sistema. In particolare occorre urgentemente affrontare il tema delle disuguaglianze nell’accesso ai livelli essenziali di assistenza.
Il nostro Paese è già caratterizzato da significativi livelli di   disuguaglianze sociali nella mortalità in tutte le regioni, più marcate in quelle più povere del Mezzogiorno, dove la speranza di vita alla nascita, indipendentemente dal livello di istruzione  è inferiore di un anno rispetto al resto del Paese.
Le differenze regionali sono uno dei problemi maggiori del sistema sanitario nazionale. In questo contesto, l’ulteriore estensione dell’attuazione dell’art. 116 non potrà che amplificare le diseguaglianze e le carenze di un servizio sanitario nazionale, che ha mostrato, soprattutto in questa situazione di stress, la necessità  di essere rafforzato con politiche pubbliche nazionali e con regole volte a ridurre il divario Nord-Sud e a definire i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP). C’è da aspettarsi che verrà ancora più depotenziata la capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni e che il regionalismo differenziato finirà per legittimare normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini, soprattutto se la ripartizione dei fondi destinati alla sanità fosse in qualche modo associata alle istanze di federalismo fiscale.

L’Associazione Medici per l’Ambiente ISDE Italia ritiene che non debbano essere messe in atto proposte che influiscano negativamente sull’organizzazione e l’efficienza del SSN e che  accrescano il divario tra le regioni italiane nell’erogazione delle prestazioni essenziali. Tale differenziazione lede il diritto fondamentale alla salute e non garantisce l’uguaglianza tra tutti i cittadini.
Se questo è vero nel campo dell’assistenza, ancor più chiara è la necessità di garantire un’omogenea gestione della prevenzione ambientale e occupazionale con il forte coinvolgimento dei servizi territoriali. L’azione unitaria del Servizio Sanitario Nazionale è ad esempio necessaria se si vuole raggiungere l’obiettivo di ridurre l’incidenza delle malattie croniche, che si stima possa raggiungere il 30-40% in meno con l’attuazione di politiche di prevenzione primaria.
Non possiamo, altresì, non sottolineare che questo provvedimento si inserisce in un quadro di definanziamento del sistema sanitario pubblico che prevede, al netto degli interventi imposti dall’emergenza pandemica, una sostanziale riduzione dei finanziamenti per la sanità tra il 2021 ed il 2024, con la conseguenza di un inevitabile depauperamento dei servizi  e del personale operante nel servizio pubblico e di una contestuale crescita della  sanità privata, situazione che andrebbe ulteriormente ad aggravare  la condizione delle fasce di popolazione più deboli.
Sulla base di quanto esposto invitiamo il Governo a porre al centro dell’agenda politica il tema della tutela e dell’unitarietà del Servizio Sanitario Nazionale e a sollecitare le Regioni al rispetto della Costituzione che, all’articolo 2, ricorda alle Istituzioni i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale su cui deve fondarsi la vita del Paese.

 

A cura del Gruppo di lavoro ISDE Italia composto da: Antonio Bonaldi, Ferdinando Laghi, Paolo Lauriola, Celestino Panizza, Maria Grazia Petronio, Roberto Romizi

Condividi con i tuoi amici










Inviare