La Corte europea dei Diritti dell’Uomo condanna l’Italia per l’Ilva a Taranto, adesso dal Governo atti concreti
Pubblicato il 18 Febbraio 2019
La Corte riconosce le responsabilità dello Stato Italiano nella violazione di diritti umani a Taranto e per i ritardi nell’applicazione di misure di prevenzione primaria, grazie anche all’intervento dei Medici per l’Ambiente.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha riconosciuto la responsabilità delle “Autorità nazionali” che “non hanno adottato tutte le misure necessarie per garantire l’effettiva tutela del diritto alla vita privata” dei cittadini residenti nell’area di Taranto (violazione articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) e che hanno violato l’articolo 13 della Convenzione (“diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”).Secondo la Corte, lo Stato ha favorito “la proroga di una situazione di inquinamento ambientale” che “mette in pericolo la salute … della popolazione residente in aree a rischio”.
La sentenza è arrivata in seguito a due procedimenti promossi nel 2013 e nel 2015 da due diversi gruppi di cittadini e successivamente accorpati. In seguito a sollecitazione di alcuni dei legali impegnati nella vertenza, a settembre 2016 i Giudici di Strasburgo hanno consentito a ISDE (International Society of Doctors for Environment) di intervenire nel procedimento, permettendo di fornire alla Corte elementi utili per una valutazione aggiornata della situazione epidemiologica che considerasse anche le evidenze più recenti e che, in tal modo, dimostrasse la persistenza della situazione di rischio.
L’intervento di ISDE, firmato dal Dr. Agostino Di Ciaula (Presidente del Comitato Scientifico dell’Associazione), esaminava tra l’altro le conseguenze sanitarie registrate in gravidanza e in età pediatrica e discuteva i possibili effetti ambientali e sanitari dei decreti “salva-ILVA”.
Il documento proposto da ISDE ai Giudici di Strasburgo si concludeva osservando che “I reiterati interventi del Governo hanno generato un costoso modello di sanità pubblica semplicemente basato sulla quantificazione periodica delle conseguenze ambientali e sanitarie e sulla loro gestione (in termini di assistenza sanitaria per danni causati in precedenza), colpendo e discriminando un’area geografica i cui residenti consapevolmente fronteggiano, da decenni, elevati rischi sanitari dovuti alle continue emissioni inquinanti e, nello stesso tempo, una completa assenza di bonifiche, di analisi di rischio e di misure di prevenzione primaria, con chiara violazioni dei diritti umani”.
La sentenza dei Giudici di Strasburgo conferma ciò che ISDE con fermezza e coerenza ha sempre sostenuto: la responsabilità dello Stato nel voler considerare lo “scenario ILVA” come unico possibile indipendentemente dalle conseguenze e nel voler imporre la tirannia del diritto dei privati a produrre acciaio su ogni altro diritto, compresi quelli alla salute e a vivere in un ambiente salubre in assenza di discriminazioni.
Nella parte conclusiva della sentenza la Corte sollecita il Governo ad adottare misure rapide finalizzate a ripristinare il pieno rispetto dei diritti violati.
Adesso è necessario rendere effettiva tale pronuncia attraverso atti concreti, iniziando con la cancellazione dell’immunità concessa ai gestori dell’impianto, con adeguate bonifiche delle matrici ambientali compromesse e con la creazione di alternative occupazionali e di sviluppo e arrivando rapidamente alla revoca dell’autorizzazione integrata ambientale.
Solo così si renderebbe possibile un futuro sostenibile che rispetti i diritti umani e che non sia fondato sul ricatto occupazionale e su attività imprenditoriali contrarie all’articolo 41 della Costituzione
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Arezzo, 06 febbraio 2019