Carducci risponde al Sindaco di Lecce in merito al TAP
Pubblicato il 21 Febbraio 2020
Mi dispiace sinceramente per il Sindaco di Lecce e se la sintesi del Suo sentimento è quella dell’offesa, ovviamente mi scuso pubblicamente di aver offeso il Suo Ruolo e la Sua Amministrazione.
Come osservava Niccolò Tommaseo, commentando la Divina Commedia, le parole forti servono a scuotere l’intelligenza.
Per questo, come Persone umane abbiamo il dovere di indignarci.
Come Cittadini, abbiano il dovere di criticare duramente chi ci amministra (solo la dura critica salva la democrazia).
Come Esseri viventi, abbiamo il dovere di far presente che le c.d. “compensazioni ambientali” non servono a nulla, perché non “compensano” (è il c.d. meccanismo “win-lose” economia/ecosistema, noto dai tempi della formula di Lotka-Volterra). Dobbiamo farlo, perché non possiamo pensare di non essere responsabili dell’ecocidio in corso, per il solo fatto di non commetterne direttamente l’atto lesivo.
Abbiamo allora il dovere di manifestare pubblicamente la delusione, se questo sfugge a chi ci amministra, si tratti del Sindaco o del Rettore o di altra persona che assume responsabilità per la cosa pubblica.
Abbiamo il dovere di farlo pubblicamente.
La delusione è un sentimento che riapre opportunità.
Abbiamo il dovere di giudicare e giudicarci su quello che stiamo facendo alla natura, anche indirettamente, anche con le c.d. “compensazioni”.
Abbiamo il dovere di farlo per pretendere coraggio intellettuale della verità e pratica politica discontinua rispetto al passato.
Abbiamo il dovere di farlo verso le giovani e le future generazioni.
Abbiamo il dovere di farlo proprio perché amiamo la democrazia e prendiamo sul serio la missione della politica
Abbiamo il dovere di farlo, perché dobbiamo cambiare registro nei rapporti verso la natura.
Solo da uno nuovo registro di rapporti con la natura è possibile recuperare la speranza della giustizia sociale: leggete tutti i 17 Obiettivi dell’ONU per il 2030, per la prima volta fondati sul rispetto delle biodiversità naturali e socio-culturali; leggete il parere europeo del CESE sulla giustizia climatica in Europa, quell’Europa che ha precarizzato la vita umana in nome del mercato.
Provate a informarvi su che cosa sia la “sesta estinzione di massa”, nonostante le “compensazioni”.
Mercato e Natura non sono più interscambiabili come ancora ci si illude rincorrendo le legali “compensazioni”.
Abbiamo il dovere di farlo presente con forza, perché la posta in gioco è altissima, spaventosamente vicinissima, drammatica.
Siamo in emergenza ecosistemica e climatica.
Allora abbiamo il dovere di informarci e di pretendere informazione su tutto questo.
Leggiamo tutti noi, con onestà e umiltà intellettuale, questi appelli che nessun quotidiano italiano ha avuto il merito di pubblicare:
– World Scientists’ Warning to Humanity: A Second Notice (Pubblicato su BioScience, 67, Issue 12, December 2017, 1026-1028, sottoscritto da oltre 20.000 scienziati di tutto il mondo).
– World Scientists’ Warning of a Climate Emergency (Pubblicato su BioScience, 70, Issue 1, January 2020, 8-12, sottoscritto da circa 12.000 scienziati di tutto il mondo).
Leggiamo questi articoli, che qualsiasi persona che ricopre responsabilità pubbliche dovrebbe umilmente studiare:
– AA. VV., Human and Nature Dynamics (HANDY): Modeling Inequality and Use of Resources in the Collapse or Sustainability of Societies, in Ecological Economics, vol. 101, 2014, pag. 90-102.
– T.M. Lenton, J. Rockström, O. Gaffney et al., Climate Tipping Points: too risky to bet against, in Nature, 575, 28, 2019, 592-595.
Leggiamo questo Report della più antica Banca sovranazionale della storia (una Banca, non un movimento ambientalista):
– P. Bolton, M. Despres, L.A. Pereira da Silva et al., The Green Swan. Central Banking and Financial Stability in the Age of Climate Change, Basel, Bank for International Settlements, 2020.
Stiamo andando a sbattere contro un muro, ma ci offendiamo per le parole.
Stiamo andando a sbattere e pensiamo di compensare l’urto con il denaro.
Abbiamo violentato la natura come nessun altro essere vivente, ma citiamo la “legalità” che “ristora” la violenza (chi accetterebbe mai un simile ordito sul proprio corpo?).
Abbiamo perso il rispetto per la vita in armonia e quindi per noi stessi nello stare in vita con tutta la vita della Terra.
Siamo “ciechi” e pensiamo di vedere.
Abbiamo allora il dovere di pretendere nuove “responsabilità” da tutte le Istituzioni (a partire dall’Università del Salento, che vive e cresce – tra le poche in Italia – grazie alla libera dura critica e non all’educata uniformità di pensiero).
Dobbiamo pretenderlo da noi stessi e da tutti.
Abbiamo il dovere di non accontentarci di una “legalità” contro natura, a partire da noi giuristi per non ridurci a legulei dell’esistente.
Abbiamo il dovere di dichiarare da che parte si sta rispetto al pessimo futuro che tutti noi abbiamo contribuito a consegnare ai nostri giovani con queste “offese compensabili” alla natura, meno eclatanti di uno scritto che turba ma molto più violente per la sottile, irreparabile lesione reale che hanno prodotto e continuano a produrre nel continuo “educato” gioco di parole cui ci siamo abituati per “rispetto” delle Istituzioni ma non della Natura.
I tempi sono duri. Le parole devono essere dure.
Abbiamo dunque il dovere di arrabbiarci per scuotere coscienze e pretendere decenza.
Abbiamo il dovere di fare tutto questo perché è giusto e perché è necessario.
Viviamo un inedito tempo a-normale e in un tempo a-normale abbiamo il dovere di gridare all’allarme e di pretendere che si agisca con un coraggio fuori del normale.
Purtroppo per noi, non ci sono alternative e, se rinunciamo, abdichiamo alla speranza, magari in buona educazione.
Ma “la rabbia è il sentimento necessario per recuperare e alimentare speranza”: Sant’Agostino.
E in quest’epoca di tramonto, meglio arrabbiati che rassegnatamente “educati”.
Un’ultima citazione di una persona cui dobbiamo la nostra libertà di dura critica repubblicana, Piero Calamandrei: “legalità, la parola che sopravvive ad ogni regime come alibi”.