Pesticidi, agricoltura e biodiversità
Pubblicato il 25 Agosto 2021
Il prossimo 26 settembre gli abitanti della provincia di Trento saranno chiamati ad esprimersi sul Referendum per il Distretto Biologico Trentino: un referendum consultivo, sostenuto da quasi 14 mila firme, che sarà valido se parteciperà al voto almeno il 40% degli aventi diritto.
I promotori del comitato referendario, che lavorano da anni a questa iniziativa, sottolineano che con questo progetto non si vuole imporre un modello economico, produttivo e culturale, ma piuttosto avviare un percorso di crescita e di trasformazione graduale dell’attuale situazione: quella di un territorio caratterizzato da un elevato consumo di fitofarmaci e da una percentuale di terreni dediti all’agricoltura biologica tra le più basse d’Italia.
Agricoltura e zootecnia intensive sono importanti cause dell’effetto serra e quindi del cambiamento climatico; molti residui di fitofarmaci si ritrovano nelle case, negli alimenti, nei campi gioco e possono generare tumori e malattie neurologiche nei bambini e negli adulti; liquami e sostanze tossiche fluiscono nel terreno e inquinano le falde acquifere sotterranee.
L’agricoltura biologica e biodinamica riducono notevolmente l’impatto di coltivazione e allevamento sull’ambiente e sulla salute e salvaguardano la fertilità del suolo e la biodiversità, indispensabili per la sopravvivenza della vita sulla Terra.
Ma oltre agli effetti positivi sull’ambiente e sulla qualità della vita dei suoi abitanti, questa transizione può rafforzare anche l’economia trentina, attraverso la creazione del Distretto Biologico: un insieme di operatori specializzati in una o più fasi del processo produttivo ed integrati in una rete di relazioni con amministrazioni locali, agricoltori, aziende pubbliche, artigiani, gruppi di acquisto solidale, operatori turistici, ristoratori, industria alimentare, mense.
Di fronte a questa prospettiva virtuosa e sostenibile la politica trentina ha cercato di correre ai ripari: il 20 luglio infatti è stata approvata la legge proposta dall’assessora Zanotelli. Una legge che
addita obbiettivi di grande portata, ma che rischia di restare un manifesto di buone intenzioni se si vanno a vedere gli stanziamenti previsti: 50 mila euro nel 2022, 100 mila per il 2023 e ben 150 mila per i due anni successivi! Inoltre sarebbe stato politicamente più corretto e più pulito attendere l’esito della consultazione popolare prima di promulgare una legge in materia: ma per lo meno la discussione è entrata nelle aule della politica.
E da noi in Alto Adige/Südtirol?
Nonostante le apparenze in questo campo non siamo certo all’avanguardia: già nel 2017 uno studio condotto in provincia aveva dimostrato la presenza di residui di pesticidi nel 45% dei 71 campi gioco esaminati e situati nelle vicinanze di aree destinate ad agricoltura intensiva. Ma i
nostri politici ci assicurano che la situazione nel frattempo è migliorata: secondo i dati raccolti dal Servizio di Medicina ambientale dell’ASL negli anni 2018-2019 e 2020 si registrerebbe una riduzione di 2/3 dei residui di pesticidi rilevati nei campi gioco e cortili scolastici di varie località della provincia. Nel biennio 2018-19 le sostanze rilevate erano 33, nel 2020 “solo” 10 e comunque in quantità tali che “anche mangiando l’erba -secondo l’assessore Schuler- non si supererebbe la dose massima ammessa” (Dolomiten, 02/02/2021). L’interpretazione dei dati forniti dall’azienda sanitaria e dall’assessorato però non ha convinto gli ambientalisti e l’Associazione tutela ambiente Val Venosta (Umweltschutzgruppe Vinschgau) ha chiesto ad alcuni ricercatori indipendenti provenienti da Italia, Austria e Germania di fare una valutazione del monitoraggio eseguito in provincia di Bolzano e della relativa elaborazione dei dati. I risultati sono stati esposti nel mese di aprile nel corso di un webinar. Secondo la dottoressa Caroline Linhart, epidemiologa ambientale che ha pubblicato il suo recente studio nel gennaio 2021 su Environmental Sciences Europe emergono varie criticità relative alla metodologia del monitoraggio: il numero dei principi attivi analizzati era diverso nei due periodi presi in esame, cosi come le stagioni e il tempo di campionamento; addirittura il numero di siti d’indagine negli anni 2018-2019 e 2020 era diverso e solo il 45% dei siti erano gli stessi nei due periodi considerati.
Inoltre i soli campioni d’erba non danno una misura completa dell’entità della deriva e sarebbero da integrare con altre metodologie, quali i collettori passivi. Fatti salvi questi limiti metodologici, il monitoraggio dimostra che effettivamente vi è stata una riduzione nel numero e nella concentrazione dei principi attivi, e in misura minore anche nel numero dei parchi giochi contaminati: erano il 96% nel 2018 e l’80% nel 2020.
Se invece si prendono in esami solo i dati relativi agli stessi siti di campionamento nelle stesse stagioni si vede che in primavera e in estate non vi è nessuna significativa diminuzione della contaminazione con pesticidi, anzi la concentrazione di alcuni prodotti risulta addirittura
aumentata! La ricercatrice ha quindi proposto alcuni suggerimenti per il miglioramento del monitoraggio, affinché questo fornisca un quadro più realistico della situazione e affinché la popolazione possa avere fiducia nelle autorità sanitarie e politiche.
L’epidemiologa Caroline Linhart sottolinea anche che l’esposizione ai fitofarmaci non avviene solo per effetto della deriva, ma anche attraverso cibo e acqua potabile. Inoltre non è la dose che fa il veleno, bisogna tener conto dell’effetto combinazione di sostanze diverse e del fatto che il 76% delle sostanze ritrovate sono “perturbatori endocrini”, sostanze associate a diversi tipi di cancro, infertilità, diabete, disturbi del comportamento e dello sviluppo nei bambini e per le quali non esiste un valore soglia al di sotto del quale possano essere considerate innocue.
Questo tema è stato affrontato dalla dottoressa Fiorella Belpoggi dell’Istituto Ramazzini di Bologna: esiste un nesso casuale certo tra esposizione a pesticidi e danni neurologici nell’infanzia e un aumento del rischio cancerogeno nella popolazione esposta per motivi occupazionali. Ma anche chi vive nelle aree agricole è esposto a queste molecole che contaminano acque, giardini, orti, alimenti e che si ritrovano addirittura nel cordone ombelicale e nel latte materno, agendo quindi in un periodo di grande suscettibilità quale quello dello sviluppo intrauterino. Sono quindi proprio gli agricoltori, i loro figli e le loro famiglie le prime vittime dell’agricoltura intensiva e dell’abuso di fitofarmaci.
E’ evidente che in questa situazione parlare di uso sostenibile dei fitofarmaci esprime una visione troppo limitata e che è illusorio pensare di risolvere il problema migliorando i metodi e le normative relative all’irrorazione dei prodotti: è necessario fare molto di più e avere il coraggio di cambiare il modello agricolo attuale.